Il 29 aprile del 1727 nasceva a Parigi colui che sarebbe stato considerato nel futuro il padre fondatore del balletto moderno, ovvero Jean Georges Noverre: proprio per questo il 29 aprile si celebra – dal 1982, su iniziativa dell‘International Dance Council dell’Unesco – la Giornata internazionale della danza.
Credo di fare una cosa gradita a qualcuno riproponendo la biografia di Noverre che scrissi per il volume Tersicore rivoluzionaria: la danza aulica europea nell’Età dei Lumi, edito nel 2001 da Libreria Stampatori e nel quale raccoglievo una ricca documentazione antologica non solo di Noverre (tra l’altro, con la prima traduzione italiana di alcune tra le sue Lettres ancora inedite nella nostra lingua), ma anche del suo rivale Gasparo Angiolini, grande coreografo italiano leggermente più giovane dell’artista francese e baciato – nonostante i meriti artistici, ormai indiscutibili – da minor fortuna storica.
«La centralità della figura di Noverre nel panorama europeo della danza settecentesca è testimoniata in modo inconfutabile dalla più estesa e più importante delle sue opere, quelle Lettere sulla danza che – attraverso i decenni e le innumerevoli aggiunte e modifiche – diventeranno il manifesto non soltanto del ballet en action, ma di tutta l’arte tersicorea dell’età dei lumi.
Profondo conoscitore di anatomia e di questioni ballettistiche, amante della cultura ma non pedante erudito, polemico e intransigente, Noverre possiede un genio in grado di rifulgere sia sulle tavole dei principali palcoscenici d’Europa, come realizzatore di sontuose ed espressive coreografie personali – ancorché talvolta assai criticate – sia alle prese con l’attività di studioso, critico e didatta.
Imbevuto di cultura illuminista, egli riceve in eredità, per così dire, la coscienza della limitatezza drammaturgica del teatro dell’epoca: una coscienza che gli giunge dalle innovative esperienze della Sallé in Francia, di Weaver in Inghilterra e dal verbo enciclopedista divulgato dalla voce del de Cahusac e degli altri maîtres à penser che frequenta: a partire dalle coeve esperienze teatrali dei maestri austriaci e italiani – che, ognuno nel proprio ambito, conducono ricerche parallele e che probabilmente conosceva meglio di quanto abbia voluto denunciare negli squarci autobiografici delle sue opere teoriche – elabora con il tempo una Weltanschauung personale che trova conforto nelle critiche lusinghiere che gli riserva gran parte dell’aristocrazia intellettuale dell’epoca, in primis Voltaire e Garrick.
Il peso reale dell’opera noverriana va in effetti ricercata all’interno di quel grandioso movimento di rinnovamento teatrale al quale contribuirono parallelamente e in modo decisivo – sul versante operistico – le intuizioni di Gluck e Calzabigi. Partendo da alcune idee-chiave mutuate dal sistema intellettuale nel quale egli è immerso – aderenza alla natura, semplicità nello sviluppo della trama, abolizione delle simmetrie e dei virtuosismi fini a se stessi – Noverre organizza un sistema di pensiero ponderoso e completo, in gran parte ancora valido oggi, nel quale si ritrovano concetti talvolta profetici come il gusto pittorico nella costruzione di scene e gruppi, la superiorità del genere tragico e nobile su quello comico e grottesco, l’importanza dell’en dehors e del movimento equilibrato delle braccia in rapporto alle gambe, la necessità della formazione culturale per il futuro coreografo, l’abbandono delle maschere e dei costumi ingombranti e anacronistici e altri ancora.
A partire da questo ampio complesso di cognizioni viene delineato nei tratti fondamentali il ballet en action, che è innovativo soprattutto per l’interesse che manifesta nei confronti dell’espressione immediata e naturale dei sentimenti e delle passioni e che, sia pure originato altrove e portato a grandezza anche da altri danzatori-intellettuali, riconosce in Noverre uno dei massimi apostoli ed esegeti.
La vita
Jean-Georges Noverre nacque a Parigi il 29 aprile 1727 da padre svizzero; fin dalla prima giovinezza mostrò interesse per le arti e la danza, tanto da indurre il genitore ad affidarlo alle cure del celebre maestro Dupré. Risale forse agli anni di studio l’amicizia con la celebre danzatrice Marie Sallé: un legame che, dal punto di vista intellettuale ed artistico, ebbe un notevole peso per le successive scelte creative di Noverre.
La sua attività di danzatore è tuttavia di scarso rilievo: si hanno notizie di un debutto (1743) non particolarmente fortunato a Parigi e a Fontainebleau, alla corte di Luigi XV, e di impegni in Germania, sotto la mecenatesca protezione di Federico il Grande e del fratello Enrico di Prussia e a Strasburgo.
Al ritorno da questi primi viaggi, nel 1754 egli è maître de ballet all’Opéra Comique; ed è proprio come maître de ballet – carica che oggi corrisponde essenzialmente a quella di coreografo residente – che Noverre raggiungerà la fama e svolgerà la massima parte della sua carriera. Nel 1755 ha luogo il suo primo viaggio a Londra, chiamato dal grande attore inglese David Garrick: al teatro Drury Lane mette in scena la seconda edizione delle Fêtes Chinoises seguita dalla creazione della Fontaine de Jouvence; tra Garrick – un altro importante innovatore della vita teatrale – e Noverre nasce un sincero e duraturo legame di stima e di affetto, che porterà l’attore a definire l’amico francese Lo Shakespeare della danza.
Da questo momento la vita del coreografo – che percorre con crescente sicurezza la via del ballo drammatico – appare costellata di viaggi a lungo raggio: dopo il ritorno in patria dal soggiorno londinese – terminato anzitempo per l’aggravarsi delle tensioni antifrancesi – ritroviamo Noverre a Lione (1758), quindi a Stoccarda (dal 1760, anno della prima, fortunata edizione delle Lettres) su invito di Carlo Eugenio duca di Württemberg, dove riceve la sua prima, vera consacrazione e mette in scena, tra gli altri, il balletto Medea; a Vienna (1767), dove viene ricoperto di cariche e dove mette in scena un gran numero di capolavori; quindi, in breve volgere di tempo, a Milano, Napoli, Lisbona e di nuovo a Vienna e a Londra; a Milano, in particolare, in occasione del matrimonio di Fernando d’Austria, rappresenta le sue creazioni al Teatro Ducale – l’odierna Scala – e viene coinvolto nella celebre querelle che lo vede contrapposto a Gasparo Angiolini sulla paternità del ballet en action e su un complesso di scelte drammaturgiche di primaria importanza nella definizione dell’estetica e dello stile del nuovo ballo, e alla quale partecipa scrivendo con sussiego due lettere e mettendo in ridicolo – tramite una coreografia andata in scena a Vienna nel 1773 – i balletti di Angiolini. Culmine della polemica è – da parte di Noverre – l’Introduction au ballet des Horaces ou Petite réponse aux grands lettres du Sr. Angiolini pubblicato a Vienna nel 1774 e ripubblicato forse nello stesso anno a Milano, sotto il titolo Discussioni sulla danza pantomima, insieme con le Riflessioni sopra la pretesa risposta del sig. Noverre all’Angiolini, opera quest’ultima dello stesso Angiolini o, più verosimilmente, di un fedele seguace.
Nuovamente a Parigi (1776), riceve, grazie all’influente protezione della sua ex allieva, la regina Maria Antonietta, la qualifica di Maître de ballet presso l’Accademia reale di musica e, nel 1778 rappresenta i Petits Riens su musica di Mozart.
I seguito alla grave crisi dell‘Opéra, culminata in un incendio distruttore (1781), egli ritorna a Londra: una nuova ondata di successi – Adèle de Ponthieu, Psyché et l’Amour – accoglie l’arrivo del maestro, mentre di lì a poco la Francia annienterà il vecchio mondo nel rogo rivoluzionario. Anche il teatro londinese ove Noverre opera, il King’s Theatre, brucia (1791) e occorre attendere il 1793 per ritrovare il coreografo ancora al suo posto, nell’edificio ricostruito, per la rappresentazione di suoi nuovi lavori. A quest’epoca risale la conoscenza e la collaborazione con Franz Joseph Haydn. Nel 1794, sempre a Londra, crea un ballo allegorico rappresentato al termine de La Vittoria di Giovanni Paisiello: è probabilmente il suo ultimo lavoro.
A causa dell’inarrestabile declino delle forze e della salute, Noverre decide di ritirarsi in patria: si stabilisce a Saint-Germain-en-Laye dove, vivendo in condizioni economiche piuttosto precarie, attende alla compilazione di un dizionario della danza con il quale intende controbattere agli scritti e alle idee di de Cahusac. Sopravvissuto a un mondo scomparso da lungo tempo, muore il 19 ottobre 1810.